Emilio Capaccio
- 14/02/2014 20:17:00
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Ammalarsi così, intimamente, in questa dolce poesia, è una “finestra” chiara e pulita tra te e la terra che esplode di sole inaspettatamente, laggiù verso i parchi e le aiuole, e tu hai tutto il tempo per seguirne il decorso luminoso delle ore; un tempo tutto tuo, un tempo che ti mancava! Restare mezza incantata, mezza incatarrata, tra dentro e fuori, tra vocii, trambusti o palliativi silenzi. Fare un’orma di gambero sulla soglia, osservare con più senso, saggiando l’andirivieni dei passanti che trafficano sciolti, senza troppe cognizioni, le loro indifferibili quotidianità. Un presupposto di cedevolezza o di calma analgesica che ti solleva sofficemente sui sentieri di un dolce distacco dall’impianto spastico e vertiginoso del giorno, e tra le tende appesantite di sopore e tranquilla degenza si può anche pensare, lungo la traccia del volo semplice di un piccione, che si vive concretamente con più coscienza da ammalati che girando l’angolo da dimessi.
Ciao.
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Loredana Savelli
- 14/02/2014 18:26:00
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Ciao Giovanni. Mali di stagione, ma quando mai importa a chi il suo contratto ce lha sicuro, vita natural durante? : )) (Comunque non mi lamento, la mia malattia è tutelata, una semplice influenza, toccando ferro).
Grazie, saluti anche a "lei" : ))
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